venerdì 15 maggio 2015

Risposta alla Lettera di Matteo Renzi agli insegnanti

Gentile Matteo, 
con ogni evidenza lei e il suo governo avete determinato un grado e una qualità di attenzione sul mondo della scuola che è il dato politicamente e socialmente più rilevante di questa fase. Proprio alla luce di questo, che personalmete valuto come un indiscutibile elemento di merito dopo troppi anni di sostanziale laisseiz faire, mi auguro che il processo di riforma e di innovazione possa finalmente cominciare a strutturarsi. Processo che, provando a designare per l’istituzione scolastica una forma e un ruolo adeguato al presente e al futuro, che è così carico di incertezze e quindi di sfide, non poteva pensarsi esente da ostilità (esterne) e da contraddizioni (interne). Ma questo è il rischio di qualsiasi azione riformatrice, e c'è da credere che le sia in tutti i suoi aspetti piuttosto ben presente. 
La ringrazio per la sua lettera, condivido in buona parte l’impostazione metodologica del suo discorso e del disegno di legge attualmente in discussione, ma non lo valuto, appunto, che come l’inizio di una fase nuova ancora di là dal venire. Una riforma del ruolo e della valutazione della dirigenza scolastica e dell’accesso a essa, il ridisegno più organico e meno classista dei cicli di istruzione, una discussione più approfondita, concettualmente più attenta, del rapporto tra mercato del lavoro e formazione scolastica, dovranno essere i passi successivi, quelli che dovranno impegnarci nei prossimi anni. Sarà un lavoro affascinante per quanto complesso, e che andrà imperniato attorno a quella tensione verso una giusta misura tra la necessità del merito e della valutazione e la garanzia dell’autonomia, sia per i docenti che per gli alunni, che è l’orizzonte idealmente indifferibile che la modernità consegna alle istituzioni educative e formative. Nel suo discorso, dallo spirito della proposta legislativa, riesco a leggere questa consapevolezza. Per questo mi sento di dirle che in questa fase sono dalla sua parte e che la appoggio. Non so allo stato attuale ancora immaginare che scuola prenderà forma dopo l’approvazione della legge, né se e come sarà il mio posto in essa. Ma è una sfida cui deontologicamente e intellettualmente non posso immaginare di sottrarmi. Ho evidentemente un credito di fiducia, innanzitutto verso me stesso, che per una serie di critiche che ho sempre mosso al sistema, ora è opportuno che spenda. 
Io appartengo alla sua stessa generazione (sono del 1979). Da insegnante e da coetaneo le dico che saremo in grado di essere partecipi del cambiamento, di non subirlo, di creare le condizioni per una società più libera e giusta, se ci faremo carico della volontà di trasmettere quello spirito autenticamente riformatore e costruttivo, per il quale si ha coscienza che le conquiste di oggi non sono altro se non la base per ciò di cui ci sarà bisogno domani. I nostri figli e fratelli più piccoli, nella sconfinata tenerezza della loro spaesata gioventù, in fondo non chiedono che esempi di operosa onestà intellettuale, attraverso cui essere aiutati a orientarsi sin da subito responsabilmente verso il loro percorso di vita in maniera meno blandamente elusiva, rispetto a quel che finora si è fatto, della dimensione conflittuale del divenire delle società. Anche rispetto a questo, il modello di scuola tracciato nel disegno di legge del governo mi sembra meglio rispondente e servibile, meno inutilmente e fintamente buonista, di quello attuale. 
L’attenzione e la cura e capacità ricompositiva attraverso cui si determina il giudizio sulla “bontà” dell’intervento legislativo, amministrativo, e anche scolastico, nascono dalla messa a fuoco della consistenza e della qualità delle forze che agiscono nella società e nelle istituzioni, e dall’assunzione dell’onere della scelta e del cambiamento. È proprio tale cognizione che fa nascere e rende irrimandabile l'obbligo di sottolineare ogni volta, e di farlo senza troppa paura di mettere a rischio i criteri dello storytelling, che quello che si sta iniziando ora è un processo di riforma il cui senso liberatorio finirebbe con l’essere presto svilito e smarrito senza la previsione del suo approfondimento, della sua espansione. La cultura e l’educazione che servono a trovare il proprio posto all’interno di una società in cambiamento, devono essere dinamiche e in costante evoluzione al pari delle istituzioni in cui vengono praticate e trasmesse. È questo ciò cui siamo tutti chiamati a non sottrarci. Almeno quelli che hanno deciso ormai da qualche tempo che era giunto il momento di mettersi in cerca di nuovi schemi per un nuovo modello di società e di politica, di responsabilità individuale e convivenza civile.
La saluto.

Roberto Balzano

Matteo Renzi alla lavagna - Don Lorenzo Milani 
Mao Tse-tung alla conferenza di Koutien (1929)